A Militello in Val di Catania

A circa 40 km. da Catania, tra le colline dei Monti Iblei, a 413 m. s.l.m., sorge Militello: 8.000 abitanti ca., su carta, ma l’esodo dal sud, che sembra non arrestarsi mai, verso altri Paesi (in modo particolare, soprattutto l’Australia), ne ha ridotto la popolazione ad appena 5.000 residenti. Eppure, nonostante le difficoltà socio-economiche, è una cittadina culturalmente e artisticamente molto interessante. Ricca di chiese (ne conta trenta tra urbane ed extraurbane), monasteri, palazzi nobiliari, fontane, ville rurali, è stata proclamata nel 2002 dall’UNESCO, assieme ad altre città del Val di Noto (Caltagirone, Catania, Palazzolo Acreide, Modica, Ragusa, Scicli e Noto) Patrimonio dell’Umanità.

I soci dell’Archeoclub di Lentini, accompagnati dalla presidente, prof.ssa Maria Arisco, e guidati simpaticamente da Giuseppe Cannata, presidente della locale sezione Pro Loco, l’hanno visitata domenica 18 maggio ed è stata una piacevole sorpresa.

Dai reperti archeologici appare chiaro che il suo territorio è stato abitato fin dall’età del rame (3500 a.C.), così come documenti storici ne attestano l’esistenza e in periodo ellenistico e poi romano e in quello bizantino prima e arabo dopo. Nonostante, però, l’evidenza archeologica e storica, numerose sono state le ipotesi formulate, alcune delle quali leggendarie, sulla sua fondazione.

Fu fondata, forse, dai soldati del console Marcello, nel 212 a.C., durante l’assedio di Siracusa, che per scampare ad un’epidemia di malaria, cercarono un luogo più sano dove accamparsi (da qui “Militum Tellus”, terra di soldati o “Mellis Tellus”, terra del miele, dal colore della pietra locale). Più verosimilmente, come suggeriscono importanti testimonianze documentali e diplomatiche, l’origine dell’odierno abitato è da ricondurre all’età dei Normanni, al termine della conquista della Sicilia (1091) e alla distribuzione delle terre operata dal conte Ruggero I a favore dei membri del suo esercito, e pertanto i soldati a cui si fa riferimento non erano quelli di Roma bensì quelli normanni. E proprio a questi ultimi si devono i primi cenni di attività edilizia nel luogo, anche se, come dicevamo, reperti confermano la frequentazione del sito in età precedenti. Feudalizzata appunto dai Normanni, fu gestita e controllata da famiglie nobiliari che vanno dagli Aleramici agli Alaimo, dai Camerana ai Barresi, e poi dal 1567 i Branciforte, con i quali il paese medievale si sviluppa e si espande. La città si arricchì allora di nuovi edifici: chiese, monasteri, palazzi e fontane. Fu ampliato anche il castello già realizzato in età precedente; furono create fondazioni importanti come la Biblioteca e la Stamperia, tra le prime del Regno di Sicilia.

Il terremoto del gennaio 1693 devastò tutta l’area della Sicilia sud-orientale, distrusse quasi totalmente le città del Val di Noto, che seppero tuttavia risorgere dalle macerie nel migliore dei modi. Ricostruite – e velocemente – secondo il gusto del tempo, il tardo barocco siciliano riesce ad esprimere una originalità che è anche la sua peculiarità: imponente e sobrio, snello ed elegante.

Militello, fortemente danneggiata, rinasce con larghezza e maestria. Vengono realizzati, solo per citare qualche esempio, le chiese parrocchiali di Santa Maria della Stella e di San Nicolò e del Santissimo Salvatore, l’Abbazia di San Benedetto, la chiesa della Madonna della Catena, magnificamente decorata al suo interno con stucchi bianchi e dorati, che richiamano quelli più noti degli oratori di Palermo di Giacomo Serpotta (1656-1732) e poi ancora una lunga serie di palazzi nobiliari. Proprio a questi nobili di paese si deve la costruzione “infinita” di chiese-cappelle “familiari”, che dovevano attestare, agli occhi della cittadinanza, la potenza e la ricchezza del casato (prima, infatti, dell’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804 la tumulazione poteva avvenire nelle chiese ubicate entro il confine perimetrale delle città).

In ultimo, non può non citarsi il Museo d’arte sacra di San Nicolò, che conserva ed espone un consistente numero di suppellettili in argento (secoli XV- XVIII), numerosi ex voto in oro, pregiati paramenti in seta e oro (secoli XVII-XVIII) e, fiore all’occhiello, un maestoso polittico quattrocentesco raffigurante San Pietro in cattedra e storie della sua vita, forse (ma vogliamo pensarlo) di Antonello da Messina.

Estraneo ai circuiti turistici che comprendono luoghi e siti più noti e pubblicizzati, Militello e il suo ricco patrimonio artistico e culturale appaiono nel complesso trascurati e per di più poco fruibili. Le numerose chiese citate, infatti, risultano chiuse, ad eccezione di quelle aperte al culto (per quelle chiuse è necessario chiedere anticipatamente le chiavi ai volontari della Pro Loco o ai funzionari municipali dell’Assessorato competente), mentre i palazzi nobiliari sono visibili solo all’esterno e non visitabili.

Militello sembra una città avvolta nel mistero, quasi metaforicamente in quel mistero che ancora oggi lascia irrisolta la scomparsa di Ettore Majorana (1906-1938), geniale fisico nucleare del gruppo dei “Ragazzi di via Panisperna”(1927-1935), nipote di quel Salvatore Majorana Calatabiano (1825-1897), figlio illustre di Militello, deputato della Sinistra Storica (1876-1887) negli anni post-unitari, due volte ministro di Depetris e Senatore del Regno nel 1879.

Da Militello si torna con queste sensazioni: la Sicilia stupisce sempre, quasi abbaglia. Quando ci si addentra nelle sue pieghe, anche quelle meno note e più intime, ti sorprende e la scopri grande, e pensi che può meritare certamente una maggiore attenzione: da chi ci vive, da chi la governa, da chi la visita frettolosamente.